PALLA DI FERRO
Ho cominciato giovane in un teatrino del mio paesone.
Era un bel teatro, curato da appassionati commedianti che allestivano la loro stagione, seguita da chi amava quel tipo di teatro, semplice, sincero, popolare, forse proprio per questo un teatro sano. Aveva la galleria, aveva la torre scenica con tanto di graticcio come i teatri veri. Il termine "sala polifunzionale" doveva ancora essere inventato e, comunque, ci avrebbe fatto sbellicare dalle risa; con la torre scenica, da teatro serio, potevi tirar su i fondali interi che andavano a scomparire; aveva i camerini con specchi e lampadine, il magazzino-sottopalco per l'attrezzeria, gli spezzati, le cantinelle... in più aveva quel magico odore di polvere, di legno vecchio, cipria e cerone tipico dei teatri di rango… “odore” è un termine sbagliato: era un profumo evocativo. Di quelli che col tempo ti tuffano in un immagine improvvisa.
Un bel teatro, insomma, professionale.
Aveva solo un difetto: era dei preti. Dopo un po’ questi non si accontentarono più dell’affitto che la gloriosa compagnia pagava, dell’affetto che il pubblico, la cittadinanza dimostrava per quel gioiellino… e decisero di abbatterlo per farci un “Centro Polifunzionale”. Eccoli qua i figli del progresso.
Sale.
Non il sale della terra, ma sale da affittare alle associazioni, palestra da affittare alle scuole che erano senza, auditorium da affittare per le conferenze, i congressi e le castagnate dei cacciatori, della pesca sportiva e della cassa rurale… bastava affittare. Dlin, dlin, dlin...
Sorse così un casamento anonimo, come tanti altri che si vedono in giro, di un ordinario brutto perché banale, di quelli che l’occhio scavalca dal momento che non se ne accorge.
Però redditizio. Vuoi scherzare?
Dlin, dlin, dlin! Lo sterco del demonio, così tanto vituperato dal pulpito, pioveva a cascatelle.
Vuoi mettere con quei quattro attori?
Nessuno in quel grosso paese protestò. Nessun “intellettuale”, nessun rappresentante delle istituzioni che levasse una voce. Triste, perché insigni patrioti ed artisti avevano fatto parte di quella compagnia, eppure nessuno della stampa locale, sempre così attenta a servire i Principi, che se lo ricordasse, che si chiedesse come mai; nessuna "Lettera al Direttore" spazio sempre prodigo di verbose proteste, inutili paturnie e ponderati consigli...
Il giorno della demolizione nemmeno una riga nelle notiziole, come se non se ne potesse parlare senza peccare.
Il Sindaco di allora? Non pervenuto. Assessori del tempo? Molto occupati. Potenza della chiesa e dei suoi servi.
I commedianti, termine a volte usato con disprezzo, ne fecero una malattia: ma dov’era finita tutta quella gente che il sabato sera rideva, applaudiva, salutava la commedia e i suoi attori mandando baci e fiori alle signore, dov’erano finiti tutti?
E quei politici che sul palco erano saliti ad auspicare, ché non sapevano fare altro, a stringere mani e a consegnare targhe e diplomi, a dire frasi premasticate, dov’erano ora?
E il vescovo che benediva il teatro in gran pompa tutti gli anni spruzzando acqua benedetta, lodando l’impegno del “dilettando educa” con parole piene di speranza e carità, dov’era andato?
Dlin! Dlin! Dlin!
Palla di ferro e ruspa fecero il loro dovere, e quel bel teatro dove si faceva il teatro popolare, col portico e il colonnato, con l’atrio dove si vendevano le caramelle… sparì in una grande nuvola di polvere.
Nota: Qui si parla del Teatro Nuovo che sorgeva in via Madruzzo a Trento, Oratorio del Duomo e sede, dopo l'ultima guerra, del Club Armonia, la compagnia di teatro popolare allora in gran voga e con attori geniali. Mio padre ne fu regista ed autore fino a poco dopo il momento della demolizione. Del sodalizio avevano fatto parte anche il patriota socialista Cesare Battisti e il pittore Umberto Moggioli che disegnò il labaro della società conservato ora al museo storico. Una lunga ed interessante storia che ora sembra interessare a pochi.
(La foto della compagnia schierata anni '70 viene dall'archivio di Enzo Bombardelli.)